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di Vasco Bordignon
CENNI STORICI
Il genere Actinidia è originario della Cina Sud-Occidentale, in particolare della valle del fiume Yangtze (a noi conosciuto come Fiume Azzurro), lungo le cui sponde, da tempo immemorabile, questa pianta cresce spontaneamente e rigogliosamente tra la ricca vegetazione arborea, e le genti locali ne raccolgono il frutto, chiamato Yang tao, che vuol dire pesca dello Yang, non tanto per mangiarlo, ma soprattutto per produrre dalla loro polpa una colla che entra nella composizione della carta. Infatti in poemi cinesi datati mille anni A.C. si menziona l’Actinidia come pianta rigogliosa in terreno umido, con lunghi germogli, dei bei frutti e dei bei fiori, e nel libro “Er Ya” (300-200 A.C.) è scritto che il frutto dell’Actinidia è utilizzato contro la febbre e la sua linfa come colla nella fabbricazione della carta.
La prima descrizione del Kiwi è di Pierre Nicolas Le Chéron d'Incarville,[ nato a Louviers, 21 agosto 1706 – deceduto a Pechino 12 giugno 1757] un gesuita appassionato di botanica. Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1727, soggiornò in Canada dal 1730 al 1739, poi partì come missionario in Cina nel 1740. In Cina fu corrispondente con l’allora “Jardin du Roi” (Giardino del Re), o “Jardin royal des plantes medicinales“ poi chiamato “Jardin des plantes” (Giardino delle piante), un vero giardino botanico in Parigi, e fece arrivare al botanico Bernard de Jussieu [nato a Lione 17 agosto 1699 – deceduto a Parigi 6 novembre 1777] e a Buffon (Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, naturalista, matematico, biologo, filosofo, scrittore francese,[nato a Montbard 7 settembre 1707 – deceduto a Parigi 16 aprile 1788] un copioso numero di semi d’alberi e di arbusti con l’etichetta di “arbor incognita sinarum” cioè albero cinese sconosciuto: 140 specie della regione di Pechino e 144 specie della regione di Canton. A questo gesuita si deve l’introduzione in Europa nel 1747 della Koelreuteria paniculata (la koelreuteria) e della Sophora japonica (la Sofora del Giappone), quindi nel 1751 dell’ Ailanthus altissima (l’ailanto), e della Cedrela sinensis (la cedrela) e, ciò che a noi interessa, come detto, la prima descrizione del Kiwi.
In Europa il frutto fu introdotto e coltivato nei pressi di Londra senza particolare successo dall’esploratore e botanico britannico Robert Fortune [nato a Kelloe 16 settembre 1812; deceduto a Londra 13 aprile 1880] nel 1847, a seguito di una spedizione in Oriente organizzata dalla Royal Society of Horticulture di Londra. In quell’anno si trovava a lavorare al Royal Botanical Gardens di Londra il botanico francese Jules Émile Planchon [nato a Ganges 21 marzo 1823 – deceduto a Montpellier 1 aprile 1888] che ne fece la classificazione ascrivendola al genere Actinidia.
Miglior risultato ebbe un secondo tentativo, effettuato dal ricercatore e raccoglitore di piante Ernest Henry "Chinese" Wilson conosciuto meglio come E.H. Wilson [nato in Gran Bretagna 15 febbraio 1876 – deceduto negli Stati Uniti 15 ottobre 1930), che spedì in Inghilterra dalla Cina alcuni semi.
I vivai inglesi Weitch and Son, destinatari della spedizione, presentarono al pubblico le prime piantine di Actinidia nel 1903.
Va ricordato però che in un primo momento l’Actinidia attrasse l’interesse del pubblico come pianta ornamentale, in virtù della sua grande vigoria e della bellezza del fogliame.
Nel 1904 la specie fece la sua comparsa anche in Francia, a Selva Brancolar presso Nizza e nel 1920 allo “Jardin des Plantes” di Parigi.
Non è noto con certezza l’anno di introduzione in Italia.
Contemporaneamente alla diffusione nel Vecchio continente, l’Actinidia venne importata anche in America ed in Australia (1904).
Isabel Fraser
Nel 1904 Isabel Fraser, preside del Collegio Femminile della città neozelandese di Wanganui, dopo aver visitato la sorella missionaria nello Yichang (Cina), ritornò con una manciata di semi neri del frutto Actinidia deliciosa. L’agricoltore Alexander Allison, esperto in piante non comuni, li piantò e nel 1905 nacquero i primi kiwi su suolo neozelandese, allora noti con il nome di uva spina cinese. Il lavoro di Alexander Allison tra gli anni ’20 e ’30 portò poi alla costituzione della maggior parte delle cultivar attualmente note.
Hayward Wright
Nel 1928 avvenne una svolta nella coltivazione dei kiwi. L’esperto in scienze agrarie Hayward Wright di Avondale (Nuova Zelanda) riuscì a sviluppare una particolare varietà di Actinidia con delle peculiari caratteristiche come la forma ovale, il gusto piacevole e la lunga durata, cioè il noto kiwi verde, che nel 1956 fu chiamata “Hayward” in omaggio al suo creatore.
Nel 1934 Jim MacLouglin piantò un’Actinidia sul suo terreno a Te Puke, nella regione di Bay of Plenty, nell’estremo nord dell’isola settentrionale. Il terreno vulcanico e il clima mite si rivelarono ideali per quel frutto. La prima raccolta fu un successo e venne venduta al mercato locale. Nel 1937 MacLouglin estese la coltivazione dell'Actinidia a tutto il suo terreno di 3 ettari. Ma nel 1940 scoppiò la guerra e, MacLouglin fu costretto a chiudere l’attività dopo che i suoi mezzi di trasporto dei kiwi furono requisiti dall’esercito.
Ma 18 anni dopo, nel 1952, MacLouglin diede nuovo impulso al mercato del kiwi: spedì 20 casse dei suoi frutti in Inghilterra insieme ad un carico di limoni. I frutti vennero esposti al mercato di Covent Garden, a Londra, e piacquero così tanto che l’acquirente ne ordinò immediatamente 1500 casse per la stagione seguente. Da questa data in poi le esportazioni verso gli altri continenti fecero sì che l’Actinidia assumesse effettiva importanza anche dal punto di vista commerciale.
La Nuova Zelanda infatti, con una lungimirante operazione di marketing, costituì appositamente la “New Zeland Kiwifruit Growers Corporation”.
Nel 1959 nacque il nome kiwi, che deriva da quello del piccolo uccello simbolo della Nuova Zelanda, nonché soprannome del popolo neozelandese.
Sull’onda del grande successo neozelandese la coltura si diffuse quindi negli altri Paesi: in America, ad esempio, venne costituita nel 1972 la “California Kiwifruit Growers Association”, che promosse lo sviluppo della coltura fino a fare degli Stati Uniti il terzo produttore mondiale di Actinidia.
Per quanto riguarda la diffusione in Italia, testimonianze della presenza di Actinidia risalgono ai primi anni ’30 (Catalogo vivaistico del Giardino Allegra di Catania,1934). Le prime coltivazioni produttive si presentarono, in seguito alla forte spinta commerciale attuata da vivaisti francesi desiderosi di esplorare nuovi mercati, alla fine degli anni ’60, in Lombardia, quindi in Puglia, e via via in tutte le altre Regioni.
La diffusione dell’ Actinidia subì tuttavia una momentanea contrazione nel quinquennio ’74-’79, a causa degli scadenti risultati ottenuti da arboreti mal condotti o messi a dimora in ambienti non adatti.
Negli anni ’80 la coltura accese nuovamente l’interesse dei frutticoltori, che diedero vita tra l’altro ad iniziative consortili quali il CIK, Consorzio Italiano Kiwi (1984), e la diffusero capillarmente fino a portare l’Italia (1985) a divenire il secondo produttore a livello mondiale.
Nel 1990 l’estensione risultava di oltre 21mila ettari, andando poi a decrescere negli anni seguenti, a seguito delle mutate condizioni economiche, in maniera lenta e costante.
Dall’anno 2000 in poi l’Italia si è insediata stabilmente al primo posto tra i produttori a livello mondiale, e ne detiene attualmente la leadership.
CARATTERISTICHE BOTANICHE
Tutte le specie di Actinidia presentano individui perenni, con portamento rampicante o prostrato, per la maggior parte decidui, sebbene alcune forme nelle zone a clima più caldo siano sempreverdi.
La pianta presenta un fusto legnoso con numerosi tralci di variabile lunghezza che portano gemme miste (da cui si originerà un germoglio fertile) e gemme a legno. L’apparato fogliare è costituito da foglie semplici, decidue, cuoriformi e lungamente picciolate, con caratteristiche leggermente differenti a seconda della posizione occupata sulla pianta. L’apparato radicale è superficiale.
Il ciclo vegetativo annuale ha inizio in primavera con il germogliamento, che avviene normalmente tra la fine di marzo e la prima decade di aprile. Esso è preceduto dalla ripresa dell’attività radicale e dalla circolazione della linfa nel mese di febbraio. A partire da tale epoca è possibile osservare una abbondante fuoriuscita di linfa a seguito di tagli nel legno.
Con il germogliamento inizia anche l’accrescimento di diversi tipi di germogli, la cui evoluzione dipende dal tipo di gemma da cui hanno origine. Si distinguono infatti gemme a legno e gemme miste: le gemme a legno danno origine ad un germoglio sterile e si formano sui nuovi germogli nel tratto basale per i primi 3-4 nodi, mentre le gemme miste sono in grado di dare origine ad un germoglio fertile. Esse si formano sui germogli dell’anno, all’ascella delle foglie a partire dal 4°-5° nodo basale su tutti i nodi successivi. Il nuovo germoglio allungandosi si differenzia in una sequenza a spirale a tasso costante nuovi nodi e nuove foglie, con un ritmo di crescita dei germogli particolarmente elevato (fino a 60 mm al giorno). Contemporaneamente all’allungamento dell’asse del germoglio procede anche la distensione delle foglie che compaiono all’ascella di ogni nodo. Dopo breve tempo, all’ascella delle foglie dei rami fertili si rendono visibili gli abbozzi dei fiori.
fiore femminile
fiori maschili
Actinidia si caratterizza per essere una specie dioica, portante cioè i sessi su individui diversi: risulta quindi possibile effettuare una suddivisione tra individui pistilliferi e staminiferi. Gli individui femminili portano fiori con stami apparentemente normali, che tuttavia non producono polline vitale. Gli individui maschili presentano fiori (in numero variabile da 3 a 5 per ogni racemo) con aborti degli ovari e dell’apparato femminile.
I fiori, di colore bianco, possono essere portati singolarmente oppure raggruppati.
Grande influenza sulla carica fiorale risulta avere il soddisfacimento del fabbisogno in freddo (600-850 ore a temperature inferiori a 7°C).
L'impollinazione è di tipo entomofilo, e in misura minore anche anemofilo.
La fioritura avviene normalmente tra la fine di maggio e i primi di giugno e si protrae per una decina di giorni. I fiori maschili producono polline vitale solamente i primi 2-3 giorni dopo la schiusura, e il polline conserva un elevato poter germinativo per oltre due giorni dal momento in cui è prodotto. La ricettività del fiore femminile è piuttosto elevata, potendosi protrarre per una settimana, fino all’inizio della caduta dei petali.
Terminata la fioritura i frutti iniziano il proprio accrescimento che si sviluppa in 4 fasi: la prima si protrae per circa 70 giorni a partire dalla piena fioritura, ed è caratterizzata da un accrescimento molto rapido alla fine del quale il frutto ha raggiunto già oltre il 60% del proprio volume finale. Questa prima fase si conclude attorno alla metà di agosto. Segue un secondo periodo, caratterizzato da crescita lenta che dura circa 30 giorni, durante i quali i semi completano la propria formazione. Verso la metà di settembre si assiste ad un secondo periodo di forte crescita, che porta in 20 giorni il frutto prossimo alle dimensioni finali. Nell’ultimo mese prima della raccolta il frutto completa molto lentamente il proprio sviluppo dando avvio alla fase di maturazione.
Botanicamente il frutto è una bacca, contiene un elevato numero di semi e si presenta ricoperto da peluria, con polpa di colore verde, punteggiata da semi di minuscola dimensione, violacei o neri. I frutti possono essere singoli, in grappoli di 3-5 oppure in infruttescenze di 30 e più elementi, a seconda della specie presa in esame. Le dimensioni del frutto stesso sono variabili, così come la sua forma, la tomentosità, il colore e la consistenza della polpa.
EPIDEMIOLOGIA
Ho trovato interessanti questi due studi epidemiologici, anche se non recentissimi.
L’indagine sulla incidenza e sulle cause dell’allergia alimentare in Italia (epidemAAITO del 2009) dell’Associazione Allergologi Italiani Territoriali e Ospedalieri ha riscontrato su 351 pazienti adulti con una allergia alimentare di tipo I per il Kiwi una frequenza del 7% (23 casi). Interessante poi che nel 30% di questi soggetti le manifestazioni allergiche fossero di tipo sistemico. Tale risultato metteva in luce come l’allergia al kiwi era diventata in alcuni decenni una delle prime allergie alimentari.
Nel 2010 lo studio di Burney P, el al. riguardante la prevalenza e la distribuzione della sensibilizzazione verso gli alimenti nell’ambito della indagine sul benessere respiratorio della Comunità Europea mediante la determinazione delle IgE specifiche verso 24 alimenti in 13 nazioni, in Italia la prevalenza per il kiwi è stata del 6,3%, confermando grossomodo i risultati precedenti. Ampliando gli orizzonti su tutti gli altri territori, tra nazione e nazione vi è un’ampia variabilità variando dal 7,0% della Germania all’1,8% della Spagna, dal 5,0 % della Francia al 3,4% della Svezia e all’1,5% della Inghilterra.
L'ALLERGENICITA' DEI KIWI
GLI ALLERGENI DEI KIWI
NOMENCLATURA
Act a = Actinidia arguta, Hardy kiwi
Act e = Actinidia eriantha
Act c = Actinidia chinensis, Gold kiwi
Act d = Actinidia deliciosa, Green Kiwi
[per il dettaglio, fare riferimento ai files relativi agli ALLERGENI MOLECOLARI]
Act a 1, Act e 1, Act c 1, Act d 1
L’actinidina è stato il primo allergene identificato nell’Actinidia deliciosa (Act d 1); ha un peso molecolare di 30 kDa. E’ stato riscontrato anche nelle altre specie.
Appartiene alla famiglia delle cistein proteasi o tiol proteasi, chiamate papaina-simili. Vari allergeni alimentari appartengono a questa famiglia quali la papaina dalla papaia, la ficina dal fico, la bromelina dall’ananas. Anche gli allergeni del gruppo 1 degli acari (Der p 1 e Der f1) ne fanno parte, ma la cross-reattività tra quest’ultimi e l’actinidina è trascurabile.
Viene considerato classicamente come il solo allergene maggiore. A seconda dei vari lavori viene riscontrata in vitro dal 50 all’80% dei pazienti per Act d 1.
E’ associato ad una grave allergia al kiwi ed è frequentemente riconosciuto nei soggetti monosensibilizzati al kiwi.
Act e 2, Act c 2, Act d 2
E’ una proteina Taumatino-simile o LTP (Thaumatin-like protein), identificata nel 2002.
Act d 2 è stata riscontrata nel 10-30% dei pazienti allergici al kiwi.
Si ricorda la sua resistenza al calore e alla digestione.
Act d 3
E’ ancora sconosciuta
Act c 4, Act d 4
E’ una cistatina o fitocistatina. Essa rappresenta un inibitore della cistein proteasi. Ha un peso molecolare di 11-12 kDa. E’ stata riscontrata nella polpa e nei semi.
Act d 4 è positiva dal 20 al 60% degli allergici.
Act a 5, Act e 5, Act c 5, Act d 5
E’ una kiwellina, la cui funzione biologica non è ancora chiara. La positività in vitro per Act d 5 varia dal 20 al 75%.
Act d 6
E’ un inibitore della pectina metil-esterasi (vedi Act d 7). Ha un peso molecolare di 18 kDa.E’ positivo nel 72% dei pazienti. Forma con l’enzima un complesso molto stabile. E’ possibile che la reattività dipenda l’uno dall’altro (con Act d 7).
Act d 7
E’ l’enzima pectina metil-esterasi. Ha un peso molecolare di 50 kDa. In vitro risulta positivo nel 2% dei pazienti.
Act c 8, Act d 8
Sono omologhi della Bet v 1, quindi fa parte delle proteine PR-10 e come queste, Act c 8 e Act d 8 si presentano sotto diverse varianti.
La identità tra di loro varia dal 70 al 97% a seconda delle isoforme. L’omologia con Bet v 1 è relativamente modesta: tra il 53 e il 54 %. Tuttavia l’allergene Bet v 1 ha dimostrato di cross-reagire con entrambi.
Si ritiene che una primitiva sensibilizzazione all’Act d 8 avvenga principalmente attraverso l’allergene maggiore del polline di betulla. Tali proteine sono state riscontrate principalmente nella parte periferica della polpa del frutto. L’Act d 8 , come altri omologhi delle Bet v 1, è sensibile al calore e non resistente alla digestione gastrica.
Act d 9
E’ una profilina, Acting-binding Protein. Anche questa proteina è implicata nella allergia al kiwi correlata all’allergia al polline.
Act c 10, Act d 10
Si tratta di una LPT, in particolare una Lipid Transfer Protein non specifica (nsLTP)
Act c 11, Act d 11
Vengono identificate nella Bet v 1-like, o come Major Latex Protein, o anche come RRP (Ripening-related Protein)
Act d 12
E’ una 11S globulina, presente nei semi. Fa parte degli inibitori della tripsina. Le IgE in vitro hanno evidenziato cross-reattività con arachide (peanut) e noci (tree nuts)
Act d 13
E’ una 2S albumina, presente nei semi. Le IgE in vitro hanno evidenziato cross-reattività con arachide (peanut) e noci (tree nuts)
Act c chitinasi, Act d chitinasi
Fa parte della classe 1 delle chitinasi.
ALLERGENICITA’ DEI DIVERSI CULTIVAR DI KIWI
Il kiwi come detto fa parte del genere Actinidia, entro il quale si trovano almeno 60 specie, e ogni specie ha i suoi cultivar.
Fino a pochi anni fa, la produzione di Kiwi era fondata principalmente sul Kiwi verde specie Actinidia deliciosa cv Hayward.
Nel 1999 divenne disponibile nei mercati internazionali una specie strettamente imparentata alla A. deliciosa, cioè l’Actinidia chinensis cv Hort16A, conosciuta nel commercio come Zespri Gold TM e viene anche chiamato come kiwi a polpa gialla o kiwi dorato, il cui gusto è più dolce e aromatico.
Questi due tipi di kiwi, l’Hayward e Hort16A sono i quelli maggiormente consumati.
Nuovi cultivar, però, sono stati recentemente introdotti come A. deliciosa cv Summer3363, A. chinensis cv Jantao e come A. eriantha cv Eriantha 96 , ecc.
Nello studio di Le TM, et al. del 2011 sono stati eseguiti in pazienti della Germania e della Svizzera test in vivo con prick by prick e con test di provocazione orale in aperto con 6 differenti cultivar di kiwi di tre diverse specie di kiwi al fine di indagare proprio sulla allergenicità dei vari cultivar. In base ai risultati del prick by prick si possono essere classificati in
- cultivar a bassa allergenicità : Hort16A
- cultivar a moderata allergenicità: Summer 3373 e Jintao
- cultivar ad alta allergenicità: Eriantha 96 e Hayward.
Il test di provocazione orale ha confermato come il kiwi a polpa gialla e il kiwi Summer 3373 sono meno allergenici dei comuni kiwi Hayward o kiwi verdi.
La più importante differenza nella composizione del Kiwi verde e del Kiwi a polpa gialla è la scarsa presenza dell’allergene Actinidina nel kiwi a polpa gialla.
EFFETTI DEL CALORE E DELLA DIGESTIONE
SULLA ALLERGENICITA’ DEL KIWI
Gall H, et al. nel 1994 pubblicarono un lavoro che indagava sulla cross-reattività degli allergeni del kiwi e di altri alimenti con il polline di betulla. Nelle varie procedure effettuate, su tre pazienti fu eseguito il test di termolabilità degli allergeni del kiwi. I kiwi furono riscaldati da 40°C a 90°C. Mediante il test cutaneo si evidenziò che la reattività cutanea al kiwi scompariva completamente quando i frutti era stati trattati con una temperatura da 80°C a 90 °C.
Nel lavoro di Yagami I, et al. del 2000, si eseguirono test di digeribilità simulata mediante un succo gastrico ed un succo intestinale artificiali su allergeni estratti da lattice naturale e da alimenti vegetali quali avocado, kiwi, banana, pomodoro e pesca. In riferimento al kiwi quasi tutte le proteine estratte da questo frutto furono digerite dal succo gastrico artificiale entro 4 minuti, e nel succo intestinale artificiale gli allergeni furono praticamente digeriti entro 16 ore. Si deve sottolineare che questi dati venivano riferiti a situazioni di sindrome allergica orale, e non a situazioni più gravi. Si doveva quindi pensare che nelle situazioni più gravi ci fossero altri allergeni con caratteristiche diverse.
Interessante il lavoro di Lucas JSA et al. del 2007 riguardante l’effetto della digestione e del pH sulla allergenicità delle proteine del kiwi, prendendo spunto da due lavori di Untersmayr E, et al. del 2005 dove in uno si dimostrava l’effetto della digestione gastrica sulla allergenicità del merluzzo e nell’altro si dimostrava come una ambiente gastrico ipo-acidico ad es. da farmaci anti-ulcera poteva aumentare l’assorbimento di proteine non digerite aumentando il rischio di sensibilizzazione. Tale studio si proponeva anche di dimostrare che i pazienti con sindrome orale allergica avessero allergeni pepsino-sensibili, mentre i pazienti con gravi risposte cliniche fossero portatori di allergeni pepsina-resistenti. Per determinare l’effetto del pH sulla digestione delle proteine del kiwi si utilizzò un succo gastrico artificiale, e per valutare il legame delle IgE delle proteine digerite si utilizzò la metodica del Western blotting utilizzando sieri di bambini e di adulti con reazioni sistemiche e con isolati sintomi orali. Per determinare se le condizioni di pH condizionavano la digestione degli estratti di kiwi, furono comparate mediante SDS-PAGE gli estratti digeriti a pH da 1,5 a 7. Si evidenziò come i pazienti con reazioni sistemiche dimostravano legami IgE con allergeni resistenti alla digestione; mentre pazienti con sintomatologia orale reagivano solo ad allergeni sensibili alla digestione. Un incremento del pH da 1,5 a 2,5 riduceva significativamente la rottura pepsinica degli allergeni del kiwi.
Il lavoro di Bublin M et al. del 2008 si focalizzò su due allergeni del kiwi, l’actinidina o Act d 1 e la proteina taumatino-simile o Act d 2. Utilizzarono un sistema digestivo in vitro che comportava condizioni simil-fisiologiche del passaggio dell’alimento attraverso lo stomaco e il duodeno. Act d 1 precipitava nel succo gastrico artificiale a pH 2 e la digestione delle proteine aggregate procedeva lentamente. Il precipitato residuo si riscioglieva completamente nel succo duodenale artificiale a pH 6,5 e risultava parzialmente digerito. L’Act d 2 a sua volta per il 40% restava intatto durante la digestione gastrica e veniva frazionato nel succo duodenale in grandi frammenti legati tra loro covalentemente da ponti disolfuro. Entrambi i campioni allergenici digeriti dimostravano una capacità di legame alle IgE quasi intatta. La stabilità al calore di entrambi gli allergeni dipendeva strettamente dal pH. Mentre Act d 1 veniva irreversibilmente destabilizzato in soluzioni acide, la denaturazione indotta dal calore dell’Act d 2 a pH 2 risultava completamente reversibile. Nei prodotti alimentari processati si evidenziava il legame delle IgE all’Act d 2 ma non all’Act d1.
Pertanto l’influenza della digestione e del calore dipende sulla allergenicità
- dalla sensibilizzazione individuale, cioè dal tipo di allergeni presenti in ogni paziente e quindi dalle loro caratteristiche
- dalla temperatura utilizzata
- dal pH presente nel succo gastrico.
ALLERGENICITA' NELLA MATURAZIONE E NELLA CONSERVAZIONE DEI KIWI
Per valutare sistematicamente le condizioni che possono modificare la composizione proteica degli estratti del kiwi (frutto), si sono utilizzati differenti metodi di estrazione e si sono eseguiti rilevamenti delle componenti proteiche, mediante SDS-PAGE e IgE immunoblotting, nel kiwi verde e nel kiwi dorato a differenti stadi di maturazione e a seguito dei trattamenti attuati dopo la loro raccolta. Di seguito descriviamo i dati più significativi di questo interessante e complesso lavoro di Ciardiello MA, et al. del 2009. Questi dati danno delle precise indicazioni su alcuni componenti allergenici, mentre su altri restano ancora da approfondire, anche a causa della incompleta conoscenza di allora degli altri allergeni comparsa successivamente nel panorama allergenico del kiwi.
I campioni di kiwi verde e kiwi dorato da piantagioni italiane sono stati raccolti ogni 2 settimane, approssimativamente da luglio fino a novembre/dicembre 2006. Questi campioni sono stati immagazzinati a -80C° dopo aver tolto la buccia e tagliati a fettine. In questi campioni si è studiato la variazione della concentrazione proteica iniziando dallo stadio in cui il frutto di ogni specie raggiungeva la sua grandezza finale, approssimativamente 110 giorni prima dello stadio della raccolta commerciale. I valori della concentrazione proteica aumentavano rapidamente nell’intervallo dai 110 giorni ai 40 giorni, approssimativamente prima dello stadio della raccolta commerciale. Successivamente la concentrazione proteica aumentava molto lentamente.
L’analisi delle proteine totali estratte dopo omogeinizzazione e raccolta, dopo centrifugazione, del sovranatante ha evidenziato mediante SDS-PAGE, in maggior misura nel kiwi verde, come tre proteine erano i principali componenti già nelle fasi iniziali della raccolta e che la loro concentrazione aumentava durante la maturazione. L’immunoblotting effettuato su due stadi differenti (-70 e +42 giorni in riferimento alla data della raccolta commerciale) identificava queste tre proteine (Act d 1, Act d 5 e Act d 2), mentre nel kiwi dorato prevaleva l’Act d 5 (kivellina) e del suo prodotto KiTH a seguito dei processi proteolitici della maturazione.
Il rifrattometro consente di rilevare il grado zuccherino della frutta (o grado Brix). Ne esistono diversi tipi: 1-rifrattometro digitale da tavolo: nella foto il momento in cui vengono messe sul sensore alcune gocce di succo; 2-rifrattometro a canocchiale; 3-il momento in cui il sensore viene imbevuti di succo, 4-l'osservazione attraverso il canocchiale consente di valutare sulla scala graduata il grado zuccherino (grado Brix) che va letto in corrispondenza della linea retta che si forma tra la zona chiara e la zona scura (5).
Poi campioni di kiwi verde e kiwi dorato sono stati raccolti allo stadio di maturazione per la raccolta commerciale, con valori ottimali del contenuto in solidi solubili tra 6,2 e 9 gradi Brix (°Brix = grado zuccherino), ottenuti mediante un rifrattometro e con valori della consistenza della polpa, determinati con un penetrometro da frutta, di 7 e di 6 kg/0.5 cm2, rispettivamente per kiwi verde e kiwi dorato.
I campioni sono stati divisi in tre aliquote: la prima è stata immediatamente congelata a -80°C, la seconda immagazzinata a circa 20°C in una scatola di cartone chiusa in presenza di uguale quantità (in peso) di mele come fornitrici di etilene fino a che si ottenne il rammollimento; la terza aliquota fu immagazzinata a 4 °C per circa 2 mesi seguita da esposizione all’etilene fino al raggiungimento del rammollimento (circa 1 settimana).
L’esposizione dei frutti (kiwi verde e dorato) all’ormone etilene produceva differenti effetti sulla concentrazione proteica. Infatti per gli estratti di kiwi dorato il contenuto proteico era leggermente aumentato rispetto a quelli senza trattamento, mentre una significativa riduzione della concentrazione proteica avveniva negli estratti di kiwi verde, suggerendo così come l’etilene inducesse una significativa degradazione proteolitica a causa dell’alto contenuto di actinidina, mentre ciò non avveniva nel kiwi dorato per la scarsa presenza della stessa.
Al contrario una conservazione al freddo per alcune settimane seguita dalla esposizione di etilene produceva un risultato opposto sul contenuto proteico del kiwi verde, con un aumento della concentrazione proteica nell’estratto. Per il kiwi dorato, la conservazione al freddo produceva un lieve aumento della concentrazione proteica.
L’influenza dello stato di maturazione e del trattamento post-raccolta sul profilo dei componenti con attività di legame alle IgE è stata studiata su due pool di sieri: il primo selezionato per la sua capacità di riconoscere kiwellina e KiTH, ma non l’actinidina, e il TLP; il secondo selezionato per la sua mancanza di IgE specifiche per la kiwellina ma capace di riconoscere l’actinidina e, a minor grado, anche la TLP. L’immunoblotting ha evidenziato differenze tra i profili di legame alle IgE per i due kiwi, condizionate però dal tipo di pool utilizzato. Nel pool 1 la kiwellina è stata trovata in tutti gli estratti di entrambi i tipi di kiwi, mentre KiTH è stato riscontrato nel kiwi verde alla fine del percorso di maturazione, iniziando da -28 giorni dalla data della raccolta commerciale. KiTH costituisce una banda che si lega significativamente alle IgE nei kiwi verdi conservati al freddo, mentre è quasi invisibile nei kiwi trattati con etilene senza esposizione al freddo. Nei kiwi dorati una banda che si lega alle IgE con un peso molecolare simile al KiTH è stata osservata nei primi stadi di maturazione. Nel pool 1 viene chiaramente riconosciuto TLP negli estratti di kiwi verdi, mentre negli estratti di kiwi dorati l’alta quantità di kiwellina nasconde una più bassa quantità di LTP. Componenti che legano le IgE del peso molecolare di 43kDa si sono osservati negli estratti di entrambi i kiwi. Una di queste corrisponde probabilmente all’Act d 3.L’immunoblotting con il pool di sieri 2 sia per kiwi verde che per kiwi dorato portava in luce un maggior numero di componenti IgE-fissanti rispetto al pool 1. Nel kiwi verde l’actinidina veniva identificata chiaramente come banda legante le IgE in tutti gli stadi di maturazione.
Nel kiwi dorato, quantunque si siano evidenziati diversi segnali a circa 30 kDa, l’actinidina non è stata chiaramente identificata.
Proteine di 40-43 kDa leganti le IgE già evidenziate nel pool 1, si sono evidenziate anche nel pool 2.
Si deve però sottolineare che profili di proteine IgE-leganti ottenuti a diversi stadi di maturazione mostrano una grade variabilità, in modo particolare nel kiwi dorato e in riferimento a masse inferiori a 20 kDa.
Diversi componenti poco abbondanti, non rilevanti in SDS-PAGE, evidenziano all’immunoblot un forte segnale di legame alle IgE , e molti di questi sono evidenziati in uno solo stadio o in pochi stadi di maturazione. In conclusione gli autori indicano chiaramente come vi sia ancora molto da conoscere.
ALLERGENICITA’ DI PRODOTTI ALIMENTARI CONTENENTI KIWI
Nello studio già citato di Bublin M, et al. del 2008 fu testata la IgE reattività di prodotti alimentari trasformati industrialmente contenenti kiwi come uno yogurth con pezzetti di kiwi, una marmellata di kiwi, un nettare a base di kiwi e in un drink a base di kiwi. Questi i dati emersi:
- nello yogurth si evidenziava nei frammenti di kiwi una IgE reattività sia per Act d 1 che per Act d 2
- in nessun altro prodotto è stata riscontrata una IgE reattività per Act d 1
- nella marmellata riscontro di reattività per Act d 2
- nel drink riscontro per Act d 2
- nel nettare non vi era reattività né per Act d 1 né per Act d 2.
Tutti questi prodotti avevano un pH relativamente acido (2,5-3,0) ed erano stati riscaldati a varie temperature (ad es. pastorizzazione).
Si evidenzia così come il kiwi non sia un alimento vegetale tra i più semplici per comprendere la relazione tra allergenicità e condizioni reali di consumo.
MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL'ALLERGIA AL KIWI
I sintomi più frequentemente attribuiti all’allergia al kiwi sono quelli associati alla sindrome orale allergica, che comprende prurito degli occhi, delle orecchie, della lingua , della faringe e della cavità orale, e rigonfiamento delle labbra, lingua e faringe. Sintomi di sindrome orale allergica dal kiwi sono insorti anche da un bacio di un amante. Molti altri sintomi sono possibili: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, asma, angioedema, dermatiti da contatto allergiche, dermatite atopica e orticaria da contatto.
Di seguito alcuni dei lavori più interessanti, a mio parere.
Nel 1981 Fine AJ pubblica la prima reazione allergica al kiwi, riconoscendo quindi al kiwi il ruolo di allergene alimentare. Si trattava di una donna di 53 anni conosciuta fin dal 1974 per sintomatologia allergica al pelo di gatto, di cane e agli acari della polvere di casa. Nel dicembre del 1980 trovandosi in vacanza in Florida, 15 minuti circa dopo aver pelato e affettato un kiwi per una macedonia iniziò ad aver prurito agli occhi, eruzione sulle mani, prurito alle orecchie e difficoltà a respirare con una costrizione toracica. Prese degli antistaminici e il tutto entro due ore scomparve. Nel gennaio del 1981 la paziente manipolò un kiwi e dopo 15 minuti sperimentò gli stessi disturbi precedenti ma in forma più severa. Si rivolse allora allo specialista allergologo che mediante scratch test sul paziente in esame e successivo test di trasferimento passivo del siero sulla cute di un volontario sano dimostrò inequivocabilmente la presenza di allergeni nel kiwi. Tale pubblicazione indica anche il ruolo di sensibilizzazione del kiwi attraverso la cute, come sarà confermato in altre successive pubblicazioni.
Il lavoro di Gall H, et al. del 1994 fa luce sulla correlazione reciproca tra allergia al kiwi e allergia al polline di betulla e di altre fonti polliniche. Infatti lo scopo del suo lavoro era quello di determinare gli antigeni cross-reattivi tra kiwi, altri alimenti e pollini. Studiarono 22 pazienti allergici al kiwi: 10 con gravi reazioni sistemiche e 12 con sintomatologia localizzata alla mucosa orofaringea (sindrome orale allergica). 7 pazienti che tolleravano il kiwi ma che erano allergici al solo polline di betulla rappresentarono il gruppo controllo. Tutti i 22 pazienti allergici al kiwi evidenziarono prick test positivi al polline di betulla e nella maggioranza dei casi si trovarono positività ad altri pollini. Le reazioni maggiori erano per i pollini di betulla e di graminacee, mentre più deboli quelle per l’assenzio. Tutti i 22 allergici al kiwi evidenziarono prick test positivi al kiwi fresco, ma anche ad altri alimenti. Mela, pomodoro, carota, e nocciola produssero reazioni da elevate a moderate, mentre vi furono anche deboli reazioni per farina di frumento e di segale, come pure per la papaya, l’ananas e i loro enzimi bromelina e papaina. I 7 pazienti di controllo evidenziarono una forte reazione al polline di betulla e una moderata reazione al kiwi fresco. Lo studio delle IgE specifiche evidenziò che in tutti i 22 pazienti allergici al kiwi venivano rilevate anche IgE specifiche per il polline di betulla e, nella maggioranza dei casi, anche di altri pollini. I pazienti con allergia al kiwi evidenziavano concentrazioni più elevate di IgE anti-betulla rispetto ai pazienti allergici alla betulla senza segni di allergia al kiwi. Nei pazienti con allergia alla sola betulla e che tolleravano il kiwi non vi era riscontro di IgE specifiche verso il kiwi.
Nel 2001 Mancuso G e Berdondini RM pubblicarono un caso di una sindrome orale allergica provocata da un bacio passionale dopo l’ingestione di un kiwi. Rimane ancora, a mia conoscenza, l’unico caso associato al kiwi descritto all’interno dell’”Allergia provocata dal bacio”.
Lo studio di Eriksson NE, et al. del 2004 aveva lo scopo di studiare le differenze presenti in alcuni territori del Nord Europa (Svezia, Danimarca, Estonia, Lituania, e Russia) relative a vari alimenti, secondo la dichiarazione di un ampio numero di pazienti. Ai soggetti con una storia di ipersensibilità alimentare, partecipanti allo studio, provenienti da 17 cliniche di 15 città, fu chiesto di rispondere ad un questionario dove vi erano listati 86 differenti alimenti. Risposero in totale 1139 pazienti. Di questi 685 si sottoposero al prick test verso betulla, codolina, assenzio, dermatophagoides pteronyssinus, cane, gatto e cavallo. Dai dati riscontrati, si evidenziò come gli alimenti causa dei sintomi risultavano diversi a seconda degli stati. In Russia, Estonia e Lituania gli agrumi, il cioccolato, il miele, la mela, la nocciola, la fragola, il pesce, il pomodoro, e il latte erano gli alimenti più spesso essere causa di ipersensibilità. In Svezia, e Danimarca gli alimenti più comuni in causa erano quelli correlati al polline di betulla, quali nocciole, mela, pera, kiwi, frutti a guscio e carota. In tutti gli Stati i bambini risultavano rispetto agli adulti avere più reazioni allergiche agli agrumi, al pomodoro, alla fragola, al latte, alle uova e al pesce. La maggior parte dei pazienti (95%) evidenziavano una ipersensibilità nei confronti di diversi prodotti alimentari (in media 8 alimenti). La sintomatologia più comune era rappresentata dalla sindrome orale allergica e dalla orticaria. Gli alimenti correlati all’allergia al polline di betulla appaiono essere allergeni predominanti in Scandinavia, mentre diversi alimenti collegati all’allergia al polline di assenzio appaiono essere di maggior importanza in Russia e nei Paesi Baltici. Tra i 1139 individui partecipanti, il kiwi rappresentava il quinto allergene maggiormente riportato, dando luogo a reazioni avverse nel 32%.
Riportiamo anche lo studio di Alemán A, et al. del 2004 per i dettagli sulle manifestazioni cliniche, sui procedimenti diagnostici, sulla presenza di importanti co-sensibilizzazioni . Questo studio fa riferimento a 43 pazienti, 31 femmine e 12 maschi, di età compresa tra i 5 e i 54 anni (mediana 31,2 anni) che avevano evidenziato una storia clinica di sensibilizzazione al kiwi. 31 pazienti (72%) avevano sperimentato una sindrome orale allergica (SOA) dopo aver consumato kiwi: di questi 5 erano accompagnati anche da orticaria-angioedema, 1 da orticaria, e 1 da sintomi gastrointestinali; 12 pazienti, compresi anche quelli con SOA (28%) ebbero orticaria o angioedema o entrambe; 5 pazienti (12%) ebbero una orticaria da contatto; 4 pazienti (9%) anafilassi; 2 pazienti (5%) crampi addominali, 1 con OAS ed 1 con orticaria-angioedema; 1 paziente (2%) rinite, congiuntivite e una moderata dispnea. Al prick by prick con il kiwi furono positivi nel 100%; mentre le risposte positive al prick test con 2 estratti commerciali e ad un estratto autoprodotto furono rispettivamente del 40%, 28% e del 35%. Al prick-test ci furono anche 16 pazienti positivi alla castagna (37%), 11 pazienti al melone e alla pesca (25,6 %), 8 pazienti all’avocado e alla banana (18,6%), 7 pazienti alla papaina (16%). 12 pazienti (28%) ebbero un test cutaneo positivo al lattice, e di questi 10 pazienti avevano manifestazioni cliniche al lattice. Complessivi 35 pazienti (81% ) erano anche allergici a vari pollini (graminacee, olivo, cipresso, platano, lanciuola, assenzio, e betulla). 8 pazienti non avevano sensibilizzazioni al polline, di questi, 5 (12%) erano mono-sensibilizzati al solo kiwi, e 3 (7%) erano accompagnati a sensibilizzazione al altri frutti. Tutti questi pazienti non allergici a pollini tranne uno aveva avuto pregresse reazioni sistemiche al kiwi. Si eseguì DBPCFC con kiwi (double blind, placebo-controlled, food challenge) in 33 pazienti: 20 furono positivi al kiwi e negativi al placebo. Di questi 20 positivi, 17 ebbero disturbi strettamente localizzati alla cavità orale (OAS), 1 ebbe OAS e angioedema, 1 ebbe OAS e sintomi gastro-intestinali, 1 ebbe OAS e orticaria. La dose mediana della positiva provocazione orale corrispondeva a 1,5 grammi di polpa fresca di kiwi. 3 pazienti ebbero DBPCFC positivo con il placebo che conteneva della pera. 2 di questi pazienti avevano sofferto di OAS all’ingestione della pera e ebbero positività alla pera sia al prick by prick sia ad un test di provocazione orale in aperto. Quindi 10 pazienti furono negativi al test di provocazione orale in doppio cieco controllato con placebo: di questi 2 furono positivi al test di provocazione in aperto con il kiwi, e i restanti 8 tolleravano l’ingestione del kiwi senza alcuna manifestazione clinica. Tra i 10 pazienti che erano clinicamente allergici al lattice il DBPCFC con il kiwi fu positivo in 6 pazienti e negativi in 2 , altri 2 rifiutarono il test. Degli 8 pazienti che non erano sensibilizzati a pollini, 3 ebbero un DBPCFC positivo, 2 avevano già avuto anafilassi al kiwi, 1 risultò negativo al DBPCFC e i restanti 2 rifiutarono di sottoporsi al test di provocazione orale.
Rancé F, etal. nel 2005 condusse una indagine descrittiva basata su un questionario distribuito a 3500 alunni di 150 classi di 8 scuole di Tolosa (Francia) allo scopo di determinare la prevalenza dell’allergia alimentare nei soggetti di età scolare. 2716 sono stati i questionari ricevuti, di questi 192 sono stati giudicati riportare vere allergie alimentari e il kiwi veniva a situarsi al terzo posto, dopo il latte di mucca (29 soggetti pari all’11,9%) e le uova (23 soggetti pari al 9,4%), con 22 soggetti pari al 9%, precedendo arachide (20 soggetti pari all’8,2%), pesce (19 soggetti pari al 7,8%), noci (19 soggetti con 7,8%), e gamberetti (13 soggetti pari a 5,3%). Sono state considerati anche i vari segni clinici: cutanei nel 62,7% (153 individui), digestivi nel 30,3 % (74 individui), respiratori nel 6,9% (17 individui) e di tipo anafilattico nel 4,9% (12 individui). Tra gli allergici al kiwi la sintomatologia prevalente era quelli cutanei e digestivi.
Un altro lavoro interessante è quello pubblicato nel 2008 da Palacin A, e al. Questi autori hanno studiato 20 pazienti affetti da asma da lavoro causato dalla inalazione di farine di frumento (asma del panettiere). 7 di questi pazienti evidenziavano significativa sintomatologia allergica alla ingestione di kiwi con ripetuti episodi di sindrome orale allergica. Inoltre tutti e 7 risultavano positivi al prick test con kiwi ed evidenziavano IgE specifiche al kiwi. I restanti 13 pazienti mangiavano regolarmente il kiwi senza alcuna manifestazioni allergica. Tra questi ultimi pazienti si riscontrarono IgE specifiche al kiwi in 4 pazienti e in 3 una positività al prick test. L’esecuzione di immunoblots su sieri relativi a tutti e 20 i soggetti in esame, ai 7 soggetti allergici al kiwi, ai 13 soggetti non allergici al kiwi, e 3 soggetti di controllo negativi di panettieri non allergici al frumento permise di ottenere diversi pattern. Le IgE dei sieri dei soggetti allergici al kiwi riconobbero un ampio ventaglio di bande da circa 6 kDa a oltre 60 kDa per kiwi, per estratti di farina di frumento e di segale. Inoltre le IgE si legarono agli allergeni Act d 1 e Act d 2 purificati come pure a un modello di glicoproteine vegetali ricche di CCDs, quali la perossidasi del rafano e la bromelina. I sieri invece dei 13 soggetti con asma del panettiere senza allergia al kiwi evidenziavano una forte reazione verso numerosi componenti di vario peso molecolare degli estratti dei cereali in contrasto alla debole o nulla reazione verso gli estratti e gli allergeni isolati dal kiwi e verso le glicoproteine vegetali. E’ verosimile che i promotori della cross-reattività frumento-kiwi siano le thiol-proteasi e i determinanti carboidratici cross-reattivi.
La sindrome di Kounis viene definita come una sindrome coronarica acuta che si manifesta con una angina instabile vasospastica o non vasospastica , e anche come un infarto miocardico acuto. Gli autori (Gázquez V, et al., 2010) presentano 5 casi con questa sintomatologia in un contesto di anafilassi: 4 casi da reazione allergica a farmaci ed 1 caso da ingestione di Kiwi.
Zhu T, et al. nel 2012 hanno presentato questo caso non privo di interesse. Un uomo di 44 anni venne colpito da un episodio di grave anafilassi per orticaria generalizzata e difficoltà respiratoria insorta un’ora dopo aver consumato un kiwi. Dichiarava che inizialmente aveva un discreto prurito sulla cute addominale ed era moderatamente affannoso nel respiro. Dopo mezzora dal trattamento farmacologico specifico endovenoso si erano attenuati i pomfi e il prurito. Ma poi riprese ad avere difficoltà respiratoria, vertigini, disforia e riduzione complessiva dei parametri vitali, che non migliorarono nonostante un ulteriore trattamento anti-anafilassi. Poiché il paziente aveva mangiato un frutto intero di kiwi, era possibile che nello stomaco vi fosse ancora della polpa del frutto. Venne così indotto al vomito, e dopo aver vomitato il paziente cominciò lentamente a star bene e a riprendere tutte le sue funzioni, tanto da essere dimesso dopo 10 ore. Questo fatto insegna ad effettuare lo svuotamento gastrico sia nel caso di ingestione di abbondante cibo sia nel caso di ingestione di dosi elevate di farmaci.
Lee JM, et al. nel 2013 hanno pubblicato (in coreano) una interessante ricerca sulle manifestazioni cliniche dell’allergia al kiwi e sulle IgE specifiche nei bambini. Questo studio comprende 18 soggetti, di età compresa tra gli 11 e 108 mesi, ai quali era stata diagnosticata una allergia al kiwi presso l’ospedale universitario di Ajou tra giugno 2005 e giugno 2012. In 12 di questi 18, il 66,7%, l’allergia al kiwi si manifestò con angioedema od orticaria, in 4 (22,2%) con una sindrome orale allergica, in 1 con dispnea ed 1 con anafilassi. La via orale è stata nel 88,9% la via di esposizione più comune, e, importante, nel 89% dei soggetti sperimentò reazioni sistemiche fin dalla prima esposizione.
Nel 2013 da Gawronska-Ukleja E, et al. è stato comunicato un caso di anafilassi dopo l’ingestione accidentale di una piccolissima quantità di kiwi. Si trattava di un uomo di 55 anni che stava mangiando un gelato alla vaniglia quando ha manifestato una reazione anafilattica. Il cucchiaio del gelataio con il quale aveva fornito il gelato alla vaniglia era “sporco” di kiwi. Il soggetto rivelò che anni prima mangiando un kiwi aveva rapidamente avuto rigonfiamento della lingua e delle labbra e la comparsa di una orticaria generalizzata. Fu eseguito a fini diagnostici un prick by prick con kiwi fresco. Il risultato fu molto positivo e si accompagnò, dieci minuti dopo, con intensa cefalea, debolezza generale, difficoltà del respiro ed un rush cutaneo limitato al collo e al torace. Quindi attenzione anche ai test cutanei in soggetti particolarmente sensibilizzati.
NB. in questa rassegna vi sono molti esempi di cross-reattività tra pollini di graminacee e kiwi, tra pollini di betulla e kiwi, tra lattice e kiwi, ed altre cross-reazioni. Tali situazioni saranno trattate ampiamente in altri files.
DIAGNOSTICA
Nella diagnostica dell’allergia al kiwi le principali limitazioni sono rappresentate
a.dalla bassa specificità del prick by prick : 31% a fronte di una elevata sensibilità dall’ 83% al 100% dei lavori. (Aleman A, et al. del 2004; Bublin M, et al. del 2010; Lucas JS, et al. del 2004);
b.dalla bassa sensibilità del prick-test che varia dal 40 al 45% a seconda dei suddetti lavori;
c.dalla bassa sensibilità della determinazione delle IgE specifiche: dal 17 al 60% a seconda dei suddetti lavori.
La disponibilità di vari allergeni specifici del kiwi ha permesso di mettere in evidenza l’importanza delle loro determinazione rispetto al prick-test e rispetto all’ImmunoCap di estratto totale di Kiwi. Il lavoro di Bublin M, et al. del 2010, utilizzando ImmunoCap, ha evidenziato un aumento della sensibilità diagnostica dal 17% di un estratto commerciale al 77% utilizzando un pannello di 7 allergeni.
Sempre Bublin M, et al. nel 2010, utilizzando una “component-based allergen microarray” di 9 allergeni del kiwi su un numeroso gruppo di 237 pazienti ha evidenziato una sensibilità diagnostica del 66% ed una specificità del 56%.
Anche il lavoro di Le TM, et al. del 2013 riguardante l’allergia al kiwi in varie regioni europee, nel quale l’utilizzazione di un pannello di 6 allergeni del kiwi (Act d 1, Act d 2, Act d 5, Act d 8, Act d 9 e Act di 10) in ImmunoCap ha dimostrato un aumento della sensibilità diagnostica al 60% rispetto al 20% per i test cutanei e al 46% utilizzando l’ImmunoCap dell’estratto del Kiwi.
L’isolamento degli ultimi due allergeni presenti nei semi dei Kiwi consentiranno sicuramente un aumento della sensibilità e della specificità della diagnostica del Kiwi, come descritto nelle comunicazioni di Sirvent S, et al. del 2014 e quella di Nilson C, et al. del 2015.
Nei casi dubbi occorre effettuare in ambiente protetto il Test di Provocazione Orale in aperto o in doppio cieco.
TERAPIA
A tutt'oggi l'unica terapia possibile è l'esclusione accurata del kiwi dalla alimentazione e, nei casi più gravi, anche dal contatto. E' inoltre importante escludere che lo stesso sia all'interno di altri alimenti in forma nascosta.
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